Il WWF fa le pulci verdi a orologi e gioielli. Ma chi se ne frega …

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Il WWF fa le pulci verdi a orologi e gioielli. Ma chi se ne frega …



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I marchi più noti e lussuosi della orologeria e della gioielleria mondiale non farebbero abbastanza per il Pianeta. A stilare la pagella, che tanto piacerà ai talebani del verde, è il WWF mettendo in riga come se fossero scolaretti indisciplinati realtà come Tiffany e Rolex, Patek Philippe e Pomellato, Cartier e Bulgari. I voti sono differenziati perché, scrive il WWF, se qualche miglioramento ci sia stato sulla lotta climatica, non altrettanto pare si possa dire per biodiversità e diritti umani.

Tutto è contenuto in un opuscolo di 46 pagine (“È tempo di cambiare: Chiedere più trasparenza e responsabilità nel settore dell’orologeria e della gioielleria“) in cui il WWF valuta la performance di sostenibilità di 21 tra i più esclusivi marchi di orologi e gioielli, per la buona parte finiti nelle casseforti delle multinazionali del lusso come Lvmh, Kering o Richemont, che piazzano un marchio per ciascuno sul podio della sostenibilità.

Per chi è curioso di sapere come va a finire, ecco una tabella sinottica contenuta nello studio diffuso dal WWF:

**Legenda: risultati del Rating 2023 del settore orologiero e dei gioielli **Il rating: delle 21 aziende valutate, 14 hanno colto l’opportunità di rispondere all’analisi preliminare del WWF e di integrare il questionario. Le altre sette, invece, non avendo completato l’analisi preliminare, sono state valutate sulla base dei dati pubblicamente disponibili. I marchi che non hanno partecipato all’analisi preliminare e sono stati valutati solo sulla base dei dati pubblicamente disponibili sono contrassegnati nella tabella con un asterisco*. Per i marchi che appartengono a un gruppo più grande, il nome del gruppo è indicato tra parentesi dopo il nome del marchio.

Secondo il WWF, i beni di lusso avrebbero costi elevati non solo in termini monetari ma a causa dell’inquinamento e del degrado del suolo che provocano. Da qui la solita tiritera sulla trasparenza delle catene di approvvigionamento, la biodiversità, il consumo dell’acqua, l’economia circolare e i diritti umani. Ma non basta, si arriva all’assurdo di chiedere ai consumatori di “condividere” gioielli e orologi, di acquistarli usati, insomma riciclarli come i regali di Natale sgraditi.

Peccato che il lusso sia tutto il contrario, perché si alimenta di bellezza, esclusività, eccellenza, status symbol e anche di un pizzico di puzza sotto il naso. Altrimenti perché il cliente dovrebbe strisciare la carta di credito, pur di avere l’emozione di allacciarsi al polso o infilarsi al dito l’oggetto del desiderio, senza stare troppo a guardare di quanti zeri ci sono sullo scontrino?

A dire il varo qualche marchio del settore ha già fatto della plastica pescata negli oceani un accessorio dei propri monili componibili mentre altri concorrenti lanciano messaggi arcobaleno perfetti per chi di scaglia contro la pesca dell’Esselunga o plaude alla iniziativa Lgbtqia+ di Amazon di pagare i giorni di malattia ai dipendenti che vogliono cambiare sesso.

Resta però da capire se questa volta il marketing avrà avuto il tartufo davvero capace di fiutare che cosa vogliono i clienti del lusso che già hanno dovuto digerire un’offerta che sta allargando a gioielli in metalli non preziosicome l’acciaio e nuove leggi o ancora a prodotti in oro dove il contenuto è ben lontano dai tradizionali 18 carati. Quando invece le linee più belle non transigono da purezza, belle pietre e complessità dei movimenti.

Perché se è vero che il pensiero unico degli ambientalisti sono le emissioni, va anche detto che chi compra non può essere deluso. E a chi scrive vengono i brividi a pensare alle famiglie che da un lato hanno ricevuto dalle nonne camei, collane di perle, braccialetti di coralli o solitari e dall’altro aggiungeranno al tesoretto per le nipoti “gioielli” verdi, magari prodotti utilizzando, al posto di ambra o lapislazzuli, pezzi di plastica, avanzi della raffinazione del petrolio o scatolette di tonno.

Braccialetti e collane assemblati con materiali comuni esistono già, costano pochi euro sulle bancarelle del mercato o sul web, e hanno una clientela. Sono a prova di scippo anche nella Milano di Beppe Sala e soddisfano sfizi magari da sfoggiare in spiaggia. Sfizi che non possono essere però i “capricci” a cui rispondono le boutique del lusso, dove oro e platino devono brillare insieme alle pietre preziose.

In sintesi, probabilmente è meglio che i big del lusso non si spingano troppo oltre, altrimenti potrebbero rischiare di estinguersi come era accaduto all’animale simbolo del WWF. Che però non avrebbe i soldi per salvarle i nuovi “panda” dell’ambiente.

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